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14 agosto 1851: il terremoto di Melfi accrebbe la devozione a Sant’Oronzo

di Stefano de Carolis

… mentre vivevasi spensieratamente calma fra svariate cure della vita e sotto un cielo estivo placido e sereno, alle ore 14.30 del 14 agosto 1851, una scossa di tremuoto cotanto violento e gagliardo da non ricordarsi l’eguale della vigente generazione…

Il 14 agosto 1851 una parte del sud Italia tremò a seguito di un terremoto di devastante potenza. La città che ebbe la peggio, con danni alle strutture e migliaia di vittime, fu l’antica Melfi, assieme ad altre cittadine del Vulture. In Puglia anche Canosa riportò seri danni. Il fortissimo sisma, scatenatosi in Lucania, venne sentito sino in Calabria, e soprattutto fece preoccupare i cittadini pugliesi, scuotendo i territori del Gargano, Barletta, la provincia di Bari sino al capo di Lecce.

Il fenomeno sismico ebbe inizio il 29 giugno 1851 con una forte scossa nella città di Melfi. Il 27 luglio si verificarono fortissimi e inaspettati temporali, accompagnati da venti impetuosi, ed una grandinata che distrusse le campagne della Basilicata.

Agli inizi del mese di agosto seguirono bruschi e irregolari sbalzi di temperatura. I venti di scirocco erano fortissimi, soprattutto nei giorni antecedenti il sisma. Il 14 agosto non spirava un alito di vento e la temperatura era insopportabile e soffocante.

Nicola Palizzi, Il terremoto di Melfi, 1851

Gli animali avvertirono l’imminente pericolo

Leggendo le cronache dell’epoca, si apprende che, un quarto d’ora prima del tremendo sisma, gli animali iniziarono a comportarsi in modo strano: gli equini nitrivano e appuntavano gli zoccoli sul terreno; i polli e le galline emettevano versi strani; i piccioni si allontanavano dai loro nidi; i gatti scappavano sui tetti; i maiali erano irrequieti e i cani abbaiavano e avevano i peli arruffati, quasi per avvertire il padrone dell’imminente pericolo.

Durante la prima scossa, seguita da un fragoroso rombo, sembrava che la terra e la collina dovessero sprofondare. Il terremoto fu sussultorio-onduatorio con onde che si propagarono da occidente ad oriente. Alla prima scossa ne seguirono altre tre e, sino al mese di dicembre 1851, si registrarono numerose scosse di assestamento.

ShakeMap (mappa di scuotimento) del terremoto del 14 agosto 1851 (fonte INGV – ASMI)
A Bari e provincia si registrò un livello di intensità pari al 6° grado.

Il voto dei turesi a Sant’Oronzo per l’ennesimo scampato pericolo

È molto plausibile che anche nella cittadina di Turi vennero sentite le scosse telluriche e, per lo scampato pericolo, nei giorni successivi, i turesi, spaventati e preoccupati, con le preghiere chiesero l’intercessione a Sant’Oronzo – protettore della città, e protettore da epidemie, fulmini e terremoti – .

Consultando il registro del Consiglio dei Decurioni di Turi del 1851, la gente comunale dell’epoca, guidata dal sindaco Domenico Aceto, non viene citata nessuna spesa sostenuta dal Comune per la realizzazione del Carro di Sant’Oronzo. Mentre, nel mese di agosto, è riportata la delibera per le spese religiose (30 ducati) e quella per le spese relative agli arredi sacri e ai lavori di restauro del Cappellone di Sant’Oronzo.

Alla luce di tale riscontro, a mio modesto parere, è plausibile che nel 1851, per lo scampato terremoto, accrebbe la devozione al Santo e molto probabilmente, quell’anno i fedeli turesi, con devozione e giubilo, portarono la statua o l’immagine del Santo in solenne processione dalla Grotta di Sant’Oronzo al paese. Verosimilmente negli anni successivi, si ebbe il tempo necessario per raccogliere i fondi per la progettazione e costruzione del primo Carro Trionfale, tirato da sei mule, sulla cui data di esecuzione, al momento, non esistono né documenti delle autorità ecclesiastiche né documenti del Comune di Turi.

Il primo Carro Trionfale

1971: i fratelli Albano
realizzano il nuovo Carro Trionfale

Sante Albano (classe 1944), maestro ebanista

«Mio padre, Vito Rocco, era un falegname ebanista, il quale aveva ereditato il mestiere da mio zio Giuseppe. Con i miei compianti fratelli, Matteo Maria (classe 1926) e Matteo (classe 1928), ebanisti, avevamo la bottega di falegnameria di famiglia, attiva fin dal 1886, prima in Vincenzo Orlandi e poi in via Poli.

Nel maggio 1971, accertate le pessime condizioni del vecchio Carro, fummo contattati dal sindaco di Turi per realizzare in toto la parte lignea. L’ing. Lieggi di Conversano progettò la nuova struttura in ferro, che venne realizzata dal mastro ferraro Ciccio Tria. Il disegno del nuovo Carro venne realizzato dall’arch. Francesco Schettini, già Soprintendente per i beni storici della Puglia, mentre le decorazioni e la pittura vennero affidate al pittore Francesco Turchiano di Bitetto. Ricordo che, in quello stesso anno, Turchiano stava decorando la chiesa di San Domenico. Il nuovo impianto elettrico lo realizzò l’elettricista Enzo Fiermonte. Santino Giordano, supervisore dei lavori, era il fiduciario del sindaco.

Settembre 1970 – Particolari del secondo Carro Trionfale

Con i miei fratelli, nella bottega di via Poli, ultimammo il nuovo Carro in due mesi e mezzo di lavoro: a luglio 1971, la struttura lignea era pronta per essere dipinta e decorata. Il nuovo carro ha una altezza di 14,50 metri; la parte superiore ha uno spessore ligneo di 6 centimetri, mentre la parte sottostante (la naca) ha uno spessore di 3 centimetri. Il legno che venne usato è l’abete di Cadore di primissima scelta. Le colonne e la grande sfera posta in cima al campanile, invece, sono di legno di Douglass.

1971 – Lavorazione del nuovo Carro

La sera del 27 agosto 1971, alla presenza del Vescovo e del sindaco Matteo Pugliese, nel corso di una solenne cerimonia venne inaugurato il nuovo Carro e per l’occasione ci venne consegnata una pergamena ricordo.

Conservo gelosamente alcune foto del vecchio Carro. In particolare, ricordo l’angelo “porta croce”, posizionato sulla cupola, che era alto più di un metro. Per il nuovo carro furono recuperate solo le sculture degli otto putti, mentre tutte le altre parti vennero inspiegabilmente bruciate».

27 agosto 1971 – Inaugurazione del nuovo Carro

Anni ’70 – Peppino Dalfino e Pasquale Lasorella

Anni ‘80 – Il nuovo percorso del Carro Trionfale. In prima fila, Giovanni Spada e i fratelli Dalfino

Il tiro con le sei mule.
Un patrimonio immateriale da salvaguardare

Cresciuta la devozione a Sant’Oronzo, Protettore della Città, a partire dalla metà dell’Ottocento il culto al Santo si arricchisce con la processione del Carro Trionfale tirato da sei mule. Una struttura architettonica mobile, costruita in legno scolpito e dipinto a forma di campanile, opera delle maestranze del paese. Per quanto riguarda la particolare tipologia del tiro usato, con molta probabilità, i “trainieri” e gli amministratori dell’epoca presero spunto dalla tecnica di tiro adottata nel 1831 dai militari del Reggimento di Artiglieria Terrestre “a cavallo” chiamato anche con l’appellativo di “Voloire”.
Un tiro equestre usato per il trasporto veloce dei pezzi di artiglieria pesante caricati su grossi carri. La tecnica di bardatura dei cavalli, oltre a redini, corde e finimenti vari, prevedeva l’uso dei “pettorali” in cuoio e di un postiglione alla guida di ciascuna pariglia. Questo tiro venne adottato dal Reggimento per garantire una notevole mobilità e velocità d’azione sul campo di battaglia (“batterie volanti”). Il caratteristico tiro con le sei mule, adottato dai trainieri di Turi, unico nel suo genere, è un patrimonio culturale “immateriale”, una antica tradizione che va necessariamente tutelata e salvaguardata in tutte le sue caratteristiche tramandate dai nostri avi da oltre 170 anni.

Il caratteristico nodo del tiro del Carro

Anni ‘60 – Da sinistra Enzo Desantis, Cosimo Surico e Stefano Orlandi, i tre trainieri di Stefano Arrè (la crecècchje). Accovacciati Giuseppe Loisi (la fèzze) e Coppi. A seguire, Vito Colapietro (baccalèje), Domenico Daddabbo (u seracùdde), Vito Grazio Mastrofrancesco e Donato Lotito (uècchiudde)

Anni ‘60 – Da sinistra Antonio Cassotta, Giovanni Spada, Giuseppe Dalfino, Domenico Valentini, Franco Di Lauro, Vito Grazio Mastrofrancesco (di spalle) e Mauro Leonardo (lo scuro)

Anni ‘70 – Da sinistra Giovanni Spada, Francesco Lavarra, Vito Onofrio Lasorella, Domenico Arrè, Giuseppe Dalfino, Domenico Valentini e il giovane Minguccio Colapietro

Anni ‘80 – Le sei mule del tiro del Carro

ph Archivio de Carolis – riproduzione riservata

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