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Successo per la presentazione del nuovo libro di Pasquale Pierri Del Re

La riflessione del prof. Buonaccino sull’impegno di Del Re in difesa del dialetto, “un vero scrigno che conserva storia, usi e valori della comunità che lo parla”

Mercoledì 10 aprile, una gremita Sala consiliare ha accolto la presentazione del nuovo libro di Pasquale Pierri Del Re, intitolato “A parole mie. Italiano e dialetto, poesie a braccetto” (edizioni Carta Bianca).

Gli interventi musicali del maestro Andrea Lenato hanno sottolineato le letture di alcune liriche da parte dello stesso autore, cui hanno fatto eco altri due fini dicitori del vernacolo: Giacomo Loconsole e Modesto Borrelli. La serata è entrata nel vivo con i saluti del sindaco Tina Resta e le interessanti considerazioni di Leonardo Florio, curatore della prefazione del volume.

La chiacchierata letteraria con l’autore è stata magistralmente moderata dal prof. Osvaldo Buonaccino d’Addiego, di cui pubblichiamo l’illuminante riflessione che, partendo dalla silloge di poesie, centra l’attenzione sul vitale contributo di Del Re nella difesa del dialetto, inteso come “un vero scrigno che conserva storia, usi e valori della comunità che lo parla”.

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«Presentare un libro di certo non è cosa facile, perché ogni volta si deve decidere di cosa conviene parlare.

Si può parlare dell’autore del libro, in questo caso di Pasquale Pierri Del Re, presentando il suo mondo interiore, i suoi sentimenti, le sue idee, da cui partono le sue riflessioni; oppure, in maniera più sbrigativa e semplicistica, si può fare un sunto del libro e tutto finisce lì, con l’invito a compralo o a farne dono. Infine, si può fare riferimento alle ragioni che hanno spinto l’autore a scrivere questo libro e cosa egli voglia dirci, quindi alle speranze e alle aspettative che la lettura del libro può suscitare.

In generale, non è mai facile presentare un libro e le difficoltà aumentano notevolmente quando, come in questo caso, si tratta di un libro che è una vera antologia di emozioni, sentimenti, ricordi, direi pure profumi del passato, un libro che parla di un mondo lontano ma molto vicino a noi.

Alle poesie in vernacolo seguono bellissime poesie che aprono uno scorcio sull’animo dell’autore, scandagliato nella intimità e nella più genuina innocenza; poesie scritte in italiano, non in dialetto come quelle della prima sezione, perché l’autore vuole parlare a tutti, a coloro che vogliono conoscere e avvicinarsi al suo mondo.

In realtà, non c’è turese che non conosca l’autore di questo libro; ciò è testimoniato dal fatto che le sue rappresentazioni teatrali, con il gruppo de “I Dìscjadìsce”, sono sempre attese e seguitissime; in quelle rappresentazioni c’è tutto il suo impegno in difesa del dialetto, del mondo dei nostri padri e delle nostre più belle tradizioni popolari. Lo fa con il teatro; ma lo fa anche con le raccolte di poesie in vernacolo ed in italiano, tre raccolte fin qui pubblicate: a quest’ultima raccolta, infatti, si aggiunge la prima, dal titolo “La Padre Terra”, uscita nel 2006; a cui seguì un’altra raccolta nel 2011: “I racconti del braciere; U fermàgge pùnde”.

“Un tuffo nostalgico nel nostro passato”

In questo suo costante e lodevole sforzo di mantenere vivo il nostro dialetto, e con esso la tradizione popolare, Pasquale merita tutto il successo che in realtà riscuote. La lettura delle sue produzioni poetiche, come quelle che troverete in questo libro, fanno bene a chi le legge o a chi le ascolta perché consentono un tuffo nostalgico nel nostro passato, anche recente, ma anche una necessaria conoscenza di un mondo abitato da persone reali, modi di fare, modi di dire che abbelliscono le nostre frasi, le rendono vive e uniche; impossibili ad essere tradotte in italiano, frutto della saggezza dei nostri antenati.

In questo, egli ben si inquadra in un filone della letteratura popolare e dialettale che in Italia ha visto illustri e autorevoli autori, come Carlo Porta, Gioachino Belli, Trilussa, Salvatore Di Giacomo. Per scendere a Turi, direi, senza ombra di smentite, che Pasquale continua l’opera meritoria dell’indimenticabile don Vito Ingellis, ma anche quella dei professori Leonardo Colapietro e Nannino Coppi; così come mi piace ricordare l’impegno quotidiano e continuo del prof. Raffaele Valentini; e non voglio dimenticare Modesto Borrelli e il compianto Vincenzo Savino, tutti sinceramente appassionati di Turi e delle sue tradizioni.

In difesa del dialetto

Per tanto tempo, fino ai nostri giorni, l’uso del dialetto ha fatto storcere il naso a qualcuno; chi lo adoperava veniva visto non in modo benevolo, quasi come se stesse bestemmiando. Guai ad usarlo, sia pure per brevi frasi, in classe. C’erano presidi che lo proibivano espressamente (come successe a me).

Invece, di fronte ad un dialetto moribondo (oramai i giovani né lo sanno parlare né lo sanno leggere), l’illustre prof. De Mauro, autore di uno dei dizionari più usati a scuola, fu il primo che ricordò che Dante Alighieri, nel “De vulgari eloquentia”, esaltava e difendeva il volgare, ossia il dialetto, considerandolo la lingua madre, quella che si riceve oralmente, dalla bocca dei genitori; cosa diversa invece dalla lingua ufficiale (nel caso di Dante era il latino) che si apprendeva a scuola, sui libri, studiando la grammatica. Entrambe le lingue erano da considerarsi di assoluta importanza, allo stesso livello.

Questa perdita di interesse per il dialetto affonda le sue origini negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso quando il boom economico e demografico, con il conseguente trasferimento di vaste masse di contadini dal sud al nord, impose l’esigenza di una lingua comune e nazionale. La scuola dell’obbligo e “mamma RAI” furono al servizio del progetto di unificazione linguistica.

Invece, è fuor di dubbio che il dialetto è un vero scrigno che conserva storia, usi e valori della comunità che lo parla, che pertanto vanno preservate, valorizzate, trasmesse, anche perché ci rimandano ai nostri antenati e al loro mondo.

“Tanti Idilli come nella migliore tradizione letteraria leopardiana”

Purtroppo, il mondo in cui viviamo corre sempre più veloce e non ha tempo per fermarsi e riflettere, perciò dimentica tutto; per questo motivo la difesa e valorizzazione delle parlate dialettali e della cultura tradizionale, come fa Pasquale, con i suoi libri e con il suo teatro, diventa difesa e valorizzazione della nostra più genuina identità, che io chiamo “la turesità”, quella che rimanda alla civiltà contadina, alla quale, non dimentichiamolo, tutti noi apparteniamo e da essa deriviamo.

Prova ne è che nelle scene rappresentate o descritte spesso finiamo per riconoscerci o di essere stati testimoni di situazioni analoghe accadute nel nostro passato. Ed è qui la grandezza di Pasquale: riportarci in vita, farci rivivere con tutti i nostri difetti, manie, espressioni colorite, esperienze quotidiane che capitavano nella vita dei nostri progenitori. Da questo punto di vista, le poesie di Pasquale, sia quelle in italiano che soprattutto quelle in vernacolo, si presentano come tanti idilli, come nella migliore tradizione letteraria leopardiana; ossia sono dei quadretti di vita popolare, contadina, o intimista, e di sicuro rimandano ad un mondo di valori che Pasquale ha appreso in famiglia o, ne sono certo, vissuti per strada, assorbiti giorno dopo giorno.

Una volta, la nostra vita di ragazzi si svolgeva per strada, vera e unica maestra di esperienze per intere generazioni; ora non lo è più perché i giovani spesso rimangono soli, intenti a navigare verso mondi lontani, dove dicono di avere migliaia di amici; ma da questi amici lontani spesso non apprendono nulla. Noi invece apprendevamo in presa diretta, eravamo sinceramente affezionati e legati a personaggi che popolavano le nostre giornate, le nostre strade, sempre, ogni giorno di ogni settimana. Ci legavamo a loro perché erano i nostri beniamini: altro che Fedez o Ferragni o i divi dello sport e della musica.

Per tutte queste ragioni, l’augurio è che il libro possa essere letto ed amato dai turesi; ma soprattutto voglio sperare che Pasquale possa presentarlo nelle scuole di Turi per far conoscere ai giovani il bello del nostro dialetto e di quel mondo da cui esso proviene, che non possiamo permetterci che scompaia del tutto: ne va della nostra stessa identità, ossia la turesità».

Prof. Osvaldo Buonaccino d’Addiego

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È possibile acquistare la tua copia del nuovo libro di Pasquale Pierri Del Re

_ presso l’Edicola in Piazza San Giovanni a Turi

_ dal sito della casa editrice: https://edizionicartabianca.it

_ dai principali store: UnilibroIbs-Feltrinelli

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