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Il laboratorio di pasticceria nel Carcere di Turi: un’occasione di riscatto sociale

Stefano de Carolis, presidente dell’associazione la “Faldacchea di Turi”, racconta gli obiettivi del corso di formazione, “volto a promuovere il reinserimento lavorativo dei detenuti”

Proseguiamo il racconto delle attività di risocializzazione della popolazione detenuta nel carcere di Turi, punto fermo della visione della dott.ssa Nicoletta Siliberti, Direttore dell’Istituto dalla fine del 2023.
Questa volta, ci soffermiamo sul laboratorio di piccola pasticceria, il corso di formazione, promosso dall’associazione “La Faldacchea di Turi”, che ha come protagonisti i dolci di mandorla della tradizione turese.

Per avere qualche informazione in più, abbiamo intervistato Stefano de Carolis, presidente del sodalizio delle maestre dolciaie, che ci ha illustrato l’origine e gli obiettivi della lodevole iniziativa.
Un progetto, anticipiamo, che si presenta come momento di crescita personale e occasione per acquisire nuove abilità che, un domani, potrebbero diventare fertile punto di partenza per il reinserimento del detenuto nel contesto sociale e lavorativo.

Stefano de Carolis

Come nasce la scelta di interagire con il carcere?

«L’idea di base è creare un collegamento tra il carcere e la comunità locale. Desideriamo tessere un filo rosso che unisca la popolazione detenuta alla realtà di Turi, partendo dalla valorizzazione della nostra arte dolciaria. In particolare, abbiamo voluto puntare sulla Faldacchea e sulla ricca tradizione dei dolci di mandorla “made in Turi”.
È così che, alla fine del 2023, ho presentato questo progetto d’istituto, che ha ricevuto l’entusiastico sostegno del Direttore del carcere, la dott.ssa Siliberti. Dopo la valutazione del Ministero di Giustizia e del Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria, lo scorso 15 febbraio abbiamo ottenuto l’affidamento e ci siamo subito messi all’opera».

Come è strutturato il corso?

«Premetto che si tratta di un progetto pilota, che auspico possa essere ripetuto e ampliato nei prossimi anni.
Il corso è articolato in lezioni teoriche e pratiche. Per la parte teorica, abbiamo previsto due moduli. Il primo, incentrato sulla storia del territorio, è a cura del sottoscritto. Il secondo modulo, invece, è gestito dal dott. Marco Troisi, biologo nutrizionista, e si concentra sulla scienza dell’alimentazione e sul ruolo che il cibo gioca nel benessere psicofisico di ciascun individuo.
Al termine delle lezioni frontali, i detenuti avranno l’opportunità di “mettere le mani in pasta”, partecipando al laboratorio di preparazione dei dolci di mandorla, guidato dalle maestre dolciaie Luciana Cistulli e Marilena Catucci».

Quale scopo si prefigge il progetto?

«In accordo con lo spirito della legge sull’ordinamento penitenziario, il nostro obiettivo è offrire un corso di formazione finalizzato al reinserimento lavorativo. Come noto, con la cosiddetta Legge Smuraglia (n.193/2000) si è inteso promuovere l’avvio di attività produttive all’interno degli Istituti Penitenziari, prevedendo rilevanti incentivi e sgravi fiscali per le imprese che assumono detenuti sia durante la pena che nei due anni successivi alla loro scarcerazione.
Ritornare ad essere parte attiva del mondo del lavoro, dunque, è una possibilità concreta. In tal senso, nel corso di uno dei miei interventi, ho raccontato un aneddoto significativo: all’inizio del 1900, Trifone Costantini si trova recluso nel carcere di Bari e, insieme a due amici (rispettivamente di Polignano e Bari), ha la possibilità di frequentare un corso di gelateria e pasticceria. Espiata la propria pena, facendo tesoro di quanto appreso nelle carceri, i tre detenuti si affermano tra i più famosi pasticceri e gelatieri della provincia di Bari. Una storia che dimostra come nella vita si possa sbagliare, ma è altrettanto possibile riscattarsi e costruirsi una seconda possibilità».

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