Il Mulino per grani di Antonio Zaccheo
Un simbolo della storia industriale di Turi da conoscere e valorizzare
di Stefano de Carolis
Negli anni ’20 del Novecento, nei pressi della stazione ferroviaria di Turi, l’imprenditore Raffaele Lefemine edificò un grande mulino per la molitura dei grani con motore motore ruston 30 Hp e locomobile Ransomese.
Qualche anno dopo, l’imprenditore vitivinicolo turese Antonio Zaccheo ne assunse dapprima la gestione e, negli anni ’30 lo acquistò all’asta al prezzo di circa 200 mila lire.
Si trattava di un mulino a cilindri per la molitura del grano tenero della capacità di 80 quintali giornalieri di macinato.
La complessa macchina molitoria veniva mossa da un singolo motore elettrico da 100 cavalli, attraverso pulegge collegate ai vari macchinari con grosse cinghie di trasmissione in cuoio.
Poiché la lavorazione dei grani avveniva su 4 piani, la movimentazione del grano e del macinato era garantita da elevatori a tazze.
L’attività del mulino era svolta nelle 24 ore, senza sosta nemmeno nei giorni di festa. Il fermo delle macchine avveniva solo periodicamente quando si doveva provvedere alla manutenzione e pulizia degli impianti.

Nell’impianto vi erano due grandi setacci, detti “planzisters”, caratterizzati da un movimento ritmico oscillante. Questi macchinari erano talmente pesanti che trasmettevano vibrazioni a tutto l’edificio, i cui pavimenti erano composti da un tavolato massiccio di legno sul quale erano fissate tutte le macchine del mulino.
All’ingresso dell’edificio si trovavano gli uffici e le botole di scarico del grano, che arrivava in sacchi di iuta da 1 quintale ciascuno. Al piano superiore vi era un appartamento in cui abitò don Antonio Zaccheo e spesso anche suo figlio Antonio, oggi grande e stimato imprenditore vitivinicolo toscano.
Sul retro del mulino si sviluppava un piccolo allevamento di maiali, nutriti con i residui della lavorazione del grano. Negli anni ’50 fu realizzata una grande stalla per ospitare gli animali di don Antonio – muli, asini e cavalli – impiegati nei lavori agricoli e nel trasporto della farina. Accanto alla stalla vi era anche un’abitazione destinata al guardiano e alla sua famiglia, oltre a un ampio magazzino per gli attrezzi agricoli e altri prodotti.
Tra il 1954 e il 1956, sempre sul retro del mulino, furono costruiti alcuni silos in cemento armato, con una capacità di stoccaggio di circa 2000 metri cubi di grano, un volume nettamente superiore rispetto a quello precedentemente disponibile. Il grano veniva movimentato da un innovativo impianto di aspirazione pneumatica, all’avanguardia per l’epoca, che lo trasportava direttamente nei silos.

Il mulino garantiva occupazione a circa 7-8 operai. Tra il personale si ricordano il ragioniere Calisi (poi sindaco di Turi) e Vita Martalò, nota come “la signorina”. Oltre a rifornire la comunità di Turi, il mulino Zaccheo forniva farina anche ai paesi limitrofi.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, il mulino assunse un ruolo strategico a causa del razionamento delle derrate alimentari. In un periodo di economia di guerra e di rigidi contingentamenti, Antonio Zaccheo si adoperò per agevolare, per quanto possibile, i suoi concittadini.
Agli inizi degli anni ’60, in pieno boom economico, erano necessari maggiori investimenti per adeguarsi alla concorrenza; tuttavia il luogo, la logistica e le fonti di approvvigionamento non erano i più idonei per affrontare i costi di tale ammodernamento. Per questi motivi, nel 1963 il mulino cessò definitivamente la sua attività, chiudendo un capitolo importante della storia economica e sociale di Turi.
La nevicata del 1956: i turesi necessitano di pane
Cenzino Carenza, classe 1935, ricorda con emozione uno degli inverni più rigidi della storia recente:
«Nel 1956 ci fu una nevicata memorabile. La neve cadde senza sosta per oltre un mese, accumulandosi fino a un metro di altezza. A causa delle difficoltà di approvvigionamento della farina, i forni rimasero a secco di materia prima e la panificazione si fermò. La cittadinanza, esasperata dalla mancanza di pane, protestava dinnanzi all’unico panificio di Turi di proprietà di Vincenzo Battista
Un giorno, il fornaio mi contattò: aveva bisogno di aiuto per andare a caricare la farina dal mulino di don Antonio Zaccheo, poiché il suo trainiere, tale Peppino Corcelli, non poteva effettuare la consegna al forno dei venti quintali di farina.

Vista l’impellente necessità, presi il traino e lo attaccai al mio cavallo baio di nome “Piccino”. Era uno straordinario cavallo che, nel 1949, acquistammo con mio padre a Scandicci (FI).
L’impresa del trasporto fu ardua; tuttavia, con estrema fatica, tra una scivolata e l’altra, arrivai davanti al mulino, dove trovai don Antonio Zaccheo, il quale vedendomi con il traino che veniva trascinato come una slitta esclamò: “… ma tu sei pazzo!”.
Fu così che caricai i primi cinque quintali di farina e con non poche difficoltà la trasportai sino al forno di Battista.


Turi 1951 – Cenzino Carenza con il suo Piccino acquistato a Scandicci (FI)
Ricordo che i tanti turesi che erano davanti al forno applaudivano e mi ringraziavano perché finalmente il fornaio avrebbe potuto riprendere la panificazione. Margherita, moglie di Battista, con gratitudine mi donò cinque chili di pane e un litro di alcol per strofinare il manto di “Piccino”, che si era ridotto un pezzo d’acqua».