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“L’arrivée de la jeunesse”, la testimonianza di Michele Camposeo

Il diacono turese, da anni residente in Lussemburgo, racconta la sua esperienza sul set del docu-film sulla storia dell’emigrazione italiana nel Granducato

Nel docu-film “L’arrivée de la jeunesse”, ha fatto il suo esordio come attore, anche il nostro concittadino Michele Camposeo, diacono, interpretando il ruolo di un padre missionario.

Nella riflessione che segue, Camposeo racconta “l’indimenticabile esperienza” vissuta sul set e proseguita anche dopo le riprese, con emozioni e legami che resteranno indelebili.

La proposta

«Ricordo quando, nel 2021, la cara amica e produttrice, Maria Grazia Galati, mi ha contattato proponendomi di dedicare un po’ del mio tempo a un piccolo ruolo nel film che avrebbe raccontato un secolo di storia dell’emigrazione italiana in Lussemburgo, a partire dall’anno 1910.

Il mio compito sarebbe stato interpretare Padre Isidoro, proprio nel momento della celebrazione del matrimonio tra i due protagonisti principali. L’idea era che l’attore dovesse incarnare un ministro ordinario, ossia un sacerdote o diacono.

Inizialmente, non mi sentivo pronto per questa sfida. Tuttavia, dopo un periodo di riflessione e con l’approvazione del vicario generale della nostra Arcidiocesi, nonché della mia famiglia, ho accettato con entusiasmo. La mia decisione è stata influenzata anche dal fatto che sono figlio di genitori migranti, e questo tema mi tocca profondamente.

È stato un onore essere coinvolto in un progetto che ha dato voce alle storie di tanti italiani che hanno cercato una nuova vita oltre i confini nazionali. L’emigrazione è un capitolo importante della nostra storia, e interpretare Padre Isidoro mi ha permesso di sentirmi parte di quel racconto».

Il ruolo di Padre Isidoro

«La figura di Padre Isidoro mi ha profondamente emozionato e mi sono chiesto se fossi davvero pronto per rappresentare il più fedelmente quel personaggio.

La situazione è poi diventata più complicata ma divertente quando, pochi giorni prima delle riprese, la responsabile dell’abbigliamento storico ha suggerito di tagliarmi la barba, perché i sacerdoti dell’epoca non la portavano. In effetti, il Padre Isidoro descritto nel copione è giovane, con i capelli corti e senza barba. A quel punto, ho proposto la figura di un Padre Isidoro Missionario: abbiamo aggiunto un po’ di barba in più, abbiamo lisciato i capelli, dando un tocco originalissimo che corrispondesse il più possibile all’immagine di un missionario in Lussemburgo all’inizio del Novecento».

L’esperienza sul set

«Durante le riprese si respirava un clima familiare. Questo dovuto alla bravura e alla grande sensibilità di Fabio Bottani, che ha guidato l’intera squadra cinematografica con passione e benevolenza. Non solo come regista, ma anche come un buon padre di famiglia. Al suo fianco c’era la produttrice Maria Grazia Galati, che, come una mamma buona, amorevole, piena di vita e raggiante, ha contribuito a creare un’atmosfera accogliente.

Devo dire che la figura del diaconato era un’immagine abbastanza nuova per molti e suscitava anche una certa curiosità. La mia partecipazione ha permesso di scoprire un’altra realtà della Chiesa, ovvero la figura del diacono, inteso come “icona vivente di Cristo”.

Ci sono stati degli scambi molto profondi, racconti di esperienze di vita, storie uniche che mi hanno toccato.

Questo mi ha fatto capire quanto sia importante avere anche nel mondo del cinema la presenza di Cristo”, in modo che tutto lo staff possa avere un orecchio che li ascolti, trovare uno spazio di conforto e nutrirsi interiormente di una buona parola di vita.

Porto con me il ricordo di persone straordinarie, di grandissima sensibilità, semplicità e molto affettuose. Dai volontari ai tecnici, dallo staff trucco ai costumisti, fino alla produzione, ognuno ha contribuito a rendere questa esperienza unica e preziosa».

L’incontro con Antonio Spagnuolo

«Lavorare con attori professionisti è stato per me è una grande novità e una sfida. Sono stati proprio Fabio Bottani e Maria Grazia Galati a farmi incontrare la prima volta l’attore Antonio Spagnuolo, e ricordo che è stato molto bello.

Con Antonio ho tanti bei ricordi, sia sul set che al di fuori. Abbiamo condiviso le nostre esperienze di vita, creando così un profondo legame fraterno. E questo legame ci ha accompagnati durante tutto il periodo delle riprese.

In particolare, c’è una scena che non potrò mai dimenticare: il momento della ripresa in sacrestia. In quel piccolissimo spazio, c’era la presenza di qualcosa di grande che ci accompagnava. Era davvero speciale… e ce lo siamo confidati a vicenda».

Michele Camposeo e Antonio Spagnuolo

“L’analogia tra Vita e Set”

«Sono molto riconoscente e grato per tutti gli straordinari incontri e le bellissime esperienze che mi hanno fatto crescere.

Questa avventura mi ha consentito di realizzare che esiste un’analogia tra la Vita cristiana e il set cinematografico.

Proprio come sul set, anche nella vita ognuno di noi è “attore” e “attrice”, ovvero “attivo” per Cristo. Attraverso i doni dello Spirito Santo che abbiamo ricevuto, ciascuno scrive il copione della propria vita, con la certezza che questo nostro “libro” sarà letto prima o poi dal più grande regista, autore e creatore di ogni vita: Nostro Signore, Gesù Cristo».   

Da sinistra, Camposeo, il regista Bottani e l’attore Spagnuolo

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