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“Nessuno è immune dal pericolo della mafia”

Inatteso successo di pubblico per l’incontro “Mafia Nostra. Le Mafie in terra di Bari”, che ha fatto luce sul “nuovo volto” della camorra barese

«Bisogna sempre parlare di mafia. Non si deve mai abbassare la guardia». L’ammonimento della dott.ssa Angela Tomasicchio, avvocato generale presso la Procura Generale della Corte d’Appello di Bari, aiuta a comprendere appieno l’importanza dell’incontro pubblico “Mafia nostra. Le Mafie in terra di Bari”, organizzato e promosso da Stefano de Carolis con il patrocinio del Rotary Club “Putignano Trulli Grotte”.

Tra il folto pubblico, oltre ai rappresentanti del mondo giudiziario e delle istituzioni civili e militari locali, erano presenti la dott.ssa Maria Rosaria Giannuzzi, vice Questore aggiunto del Commissariato di Putignano, dott. Luigi Tarulli, Comandante della Polizia Penitenziaria di Turi, la dott.ssa Nicoletta Siliberti, Direttore della Casa Circondariale di Turi, e Don Angelo Cassano, coordinatore regionale di “Libera”.

La serata si è aperta con i saluti dell’avv. Michele Longo, presidente del Rotary Club “Putignano Trulli Grotte”, che ha rimarcato come l’evento sia stato «dedicato alla cittadinanza di Turi e alle istituzioni che ogni giorno amministrano la giustizia come baluardo di democrazia della nostra Italia».

A seguire è intervenuto il sindaco Giuseppe De Tomaso, focalizzando la sua riflessione sul tema del “buon governo”, che rappresenta “l’antidoto al pericolo della mafia”, definita un “golpe strisciante” che cerca di annullare la democrazia e la libertà. Per combattere “questo torbido nemico” – annota il primo cittadino – è necessario che, oltre alle istituzioni, anche i cittadini facciano la propria parte, “perché non esiste la possibilità di salvarsi se a buone leggi non seguono buoni costumi”.

De Carolis e la nascita delle associazioni mafiose

Introdotto dalla dott.ssa Chiara Spagnolo, giornalista del quotidiano “la Repubblica”, che ha magistralmente moderato l’incontro, Stefano de Carolis ha ripercorso la nascita dei due volumi dedicati all’origine delle organizzazioni criminali pugliesi, “Con un piede nella fossa” (LB edizioni) e “L’Infame Legge” (Giazira edizioni). Frutto dello studio di circa 11.000 documenti custoditi nell’Archivio di Stato di Barie Trani, i due saggi hanno documentato «che tutte le organizzazioni mafiose – non solo quelle pugliesi, ma anche l’antica picciotteria calabrese, la camorra napoletana e la mafia siciliana – nascono nello stesso periodo, ossia intorno alla seconda metà del 1800. Ed è proprio nelle carceri siciliane, in particolare in quella di Favignana, che avvengono le prime affiliazioni».

Tomasicchio: tra “vecchia” e “nuova” criminalità organizzata

La dott.ssa Angela Tomasicchio, avvocato generale presso la Procura Generale della Corte d’Appello di Bari, ha posto l’accento sulle similitudini tra la realtà di fine ’800, fotografata nel libro di de Carolis, e l’attualità. Ad iniziare dalla complessa situazione degli Istituti penitenziari italiani, sovraffollati e strutturalmente inadeguati.

Si è poi passati ad analizzare la differenza tra la struttura mafiosa e quella camorristica: «La mafia ha un’organizzazione verticistica, per cui gli accoliti non hanno potere decisionale. La malavita barese, invece, è estemporanea, il che, sotto certi aspetti, la rende più pericolosa, perché l’accolita, sempre a beneficio dell’organizzazione, può decidere di uccidere autonomamente, senza il placet dei capi».

Infine, un commento alla tesi, espressa agli inizi del secolo scorso dall’On. Pugliese, secondo cui l’istruzione avrebbe giocato un ruolo primario nella prevenzione alla diffusione della criminalità organizzata: «Purtroppo – constata la dott.ssa Tomasicchio – l’istruzione non è servita a migliorare la situazione, bensì ad elevare il crimine; per cui oggi non parliamo solo di criminalità spicciola, ma anche di criminalità politica ed economica».

Da sinistra, Stefano de Carolis, Ciro Angelillis, Angela Tomasicchio, Chiara Spagnolo, Alfonso Orazio Maria Pappalardo e Giovanni Signer

Pappalardo: «Le garanzie costano»

 «Il libro di de Carolis – ha esordito Alfonso Orazio Maria Pappalardo, Presidente del Tribunale di Bari – non è il solito racconto ma è un libro sulle fonti. Un libro di riflessione ed evasione. Di riflessione perché offre molti spunti; di evasione perché ne esce un ritratto molto suggestivo della realtà barese di inizio ‘900 e di come era la malavita di due secoli fa.
Una malavita “ante droga”, di coltello e risse, di sgarri e vendette», che si è poi evoluta: «Oggi abbiamo una criminalità organizzata molto più invasiva, che permea in profondità il contesto sociale ed economico, spingendoci ad adeguare la nostra risposta giudiziaria».

Partendo dal rilievo che il maxiprocesso del 1891 si concluse in 2 mesi, nonostante l’altissimo numero di imputati e testi, il dott. Pappalardo ha chiarito che all’epoca per i testimoni «si riportavano a verbale le dichiarazioni rese in fase di istruttoria». Attualmente, invece, il Codice di procedura penale impone che la testimonianza venga ripetuta durante il processo e che ci sia la possibilità del controesame da parte della difesa. «Le garanzie costano: a parità di mezzi, personale e risorse, non possiamo avere più garanzie senza incidere sui tempi» – asserisce Pappalardo, concludendo che «per rendere più celeri i processi, dobbiamo avere più mezzi e leggi più intelligenti».

Signer e il ruolo della comunicazione

Ricostruita la curiosa storia del primo pizzino di mafia rinvenuto da de Carolis, con il dott. Giovanni Signer, Questore di Bari, si è entrati nel merito del ruolo della comunicazione, spesso colpevole di veicolare modelli negativi difficili da contrastare. Un esempio è rappresentato dall’uso distorto del mondo dei social network, piuttosto che dalla rappresentazione romanzata della criminalità organizzata che emerge nelle varie fiction, fatta spesso di immagini patinate che attecchiscono tra i giovani.

Angelillis: “Oggi la mafia indossa l’abito dell’uomo d’affari”

Con il dott. Ciro Angelillis, Procuratore Aggiunto presso la Procura della Repubblica di Bari, l’asse del dibattito si è spostato sul “nuovo volto” della criminalità organizzata.

Il magistrato ha iniziato perimetrando le differenze tra l’associazione per delinquere e quella mafiosa, introdotta dal legislatore nel 1982: «La prima si fonda sulla segretezza della consorteria; l’associazione mafiosa, viceversa, per attuare la propria forza intimidatrice ha bisogno di essere riconoscibile», fin dall’abbigliamento che «racconta a quale consorteria appartiene l’accolita e il suo grado». Inoltre, l’associazione mafiosa, accanto al profitto illecito, persegue «il fine di porsi in contrasto con lo Stato, di fornirne un’alternativa basata su un codice comportamentale di violenza e illegalità».

«La peculiarità delle organizzazioni criminali mafiose – prosegue Angelillis – è quella di ritagliare le proprie attività sulla misura dell’economia del territorio. Alla fine del 19esimo secolo, con un’economia prevalentemente rurale, le attività delinquenziali sono circoscritte a estorsioni, pizzo e rapimenti. Oggi, nell’era della globalizzazione, la mafia ha cambiato strategia: dalla contrapposizione frontale è passata all’infiltrazione nel tessuto socio-economico dello Stato, riciclando le grandi quantità di denaro frutto del traffico internazionale di droga».

«La criminalità mafiosa si alimenta dalla corruzione della pubblica amministrazione e dalla criminalità economica. Una volta la mafia indossava il camuffo e la coppola , oggi veste l’abito dell’uomo d’affari» – chiosa Angelillis.

Dal “Decreto Nordio” alla pagella di Totò Riina

Nell’ultima parte della serata, si è dibattuto sulle problematiche legate al cosiddetto “Decreto Nordio”, che, parafrasando la dott.ssa Tommasicchio, rischia di spuntare le armi che la magistratura ha a disposizione per contrastare “una mafia che non indossa più la coppola ma usa il computer”.

L’incontro si è concluso con la presentazione da parte di Stefano de Carolis della pagella scolastica di Salvatore Riina. Un eccezionale documento storico, dimenticato da 31 anni e sconosciuto all’opinione pubblica.

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