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“Un ponte levatoio tra interno ed esterno”

Intervista con la dott.ssa Siliberti, direttore della casa di reclusione di Turi, sui progetti attivati per la “risocializzazione” dei detenuti

«La pena deve fungere da ponte levatoio tra interno ed esterno, con l’obiettivo di favorire la risocializzazione del detenuto». Questa eloquente immagine apre la conversazione con la dott.ssa Nicoletta Siliberti, direttore della casa di reclusione di Turi dal 17 novembre 2023. È il suo primo incarico, ottenuto dopo aver vinto il concorso per esami bandito dal Ministero della Giustizia e aver seguito uno specifico percorso di formazione.

«È il sogno di una vita che si è realizzato» – afferma con convinzione, mettendo in luce la grande sfida di questo lavoro – o, meglio, vocazione: operare a stretto contatto con un’umanità in cerca di riscatto e incidere sul riequilibrio della società.

Difatti, nel formalismo della weberiana burocrazia, che rischia di pietrificare ogni sistema sociale, il direttore di un istituto penitenziario ha la possibilità di essere “promotore del cambiamento”, rendendo il carcere un corpo integrato con la società e non una realtà alienante, isolata. Ed è proprio questa la rotta che la dott.ssa Siliberti sta tracciando con determinazione.

“Risocializzazione”

La dott.ssa Nicoletta Siliberti

«Il primo obiettivo che il Dipartimento mi ha assegnato è ampliare le attività di risocializzazione della popolazione detenuta. Non amo la parola “rieducazione” – precisa il direttore – preferisco parlare di “risocializzazione” del detenuto: il reato crea una frattura con la società che l’istituto penitenziario ha il compito di provare a ricomporre; una ferita che si può sanare inducendo un cambiamento di prospettiva nell’individuo».

«Il carcere – prosegue – mi piace definirlo come un angolo di democrazia e pluralismo, dove il personale in servizio è “operatore di legge” al servizio dell’esecuzione della pena. Qui, ciascuno è investito della responsabilità di aiutare il detenuto a ristabilire il legame con la comunità, a incoraggiarne l’auspicabile piena riabilitazione, senza alcuno stigma o pregiudizio».

«Il carcere di Turi – evidenzia – è una casa di reclusione che ospita detenuti provenienti prevalentemente dall’hinterland barese e jonico; la maggior parte ha condanne definitive con ‘fine pena’ medio-lungo. Dunque, il tratto distintivo di cui l’istituto deve riappropriarsi è proprio quello della risocializzazione, valorizzando anche il nesso con Gramsci, un simbolo prezioso che potrà essere una delle chiavi di volta per concretizzare questo approccio».

“Riavvicinare il carcere alla comunità”

La premessa per inverare tale circuito virtuoso è inserire la casa di reclusione all’interno di una narrazione comunitaria, recuperando un dialogo reciproco e costruttivo: «Il carcere – riflette la dott.ssa Siliberti – sorge al centro del paese ma ne è lontano, quasi scollegato. Il nostro intento è superare una lunga stagione di disorientamento, riagganciando l’istituto con gli stakeholder, le imprese sociali, le associazioni di volontariato e i club service».

«Vorrei – aggiunge – che la casa di reclusione fosse riconosciuta da tutto il territorio non solo come istituzione dalle grandi potenzialità, ma anche per l’impegno degli agenti di Polizia Penitenziaria, del personale civile e dei volontari, che ogni giorno sono chiamati a svolgere una missione tanto gravosa quanto delicata».

I progetti formativi: dalla Faldacchea al corso in flower design

“Risocializzazione” e recupero del rapporto tra istituto e comunità: queste, in sintesi, le due pietre angolari del programma del nuovo direttore, che si è già sostanziato nel progetto d’Istituto del 2024.

«Il direttore ha fortemente voluto il collegamento con il territorio e la tradizione, aprendo le porte di quello che è un simbolo di Turi alle realtà esterne. E, infatti, la stesura del progetto d’Istituto ha visto la partecipazione delle varie associazioni presenti sul territorio» – annota Adriana Bottiglieri, capo area educativa.

«Uno dei progetti – riprende la dott.ssa Siliberti – che salda carcere e territorio è il corso laboratoriale di piccola pasticceria centrato sulla Faldacchea, dolce icona di Turi e unicum nel cluster dei matrimoni».

«Più che un corso formativo – chiarisce – è uno strumento per approfondire la conoscenza delle eccellenze del territorio – che in Puglia sono soprattutto enogastronomiche – e riappropriarsi delle tradizioni storico-culturali della comunità turese. Il progetto pilota, proposto dall’Associazione “La Faldacchea di Turi”, è stato strutturato pensando anche ad una futura prospettiva lavorativa: stiamo valutando un eventuale coinvolgimento dei detenuti nell’allestimento del packaging del dolce».

Nella stessa direzione sono orientati anche gli altri corsi attivati: «Il corso di formazione professionale in manutenzione dei giardini e quello in “flower design” mirano a fornire competenze spendibili sul mercato del lavoro. Inoltre, sempre nell’ottica di mantenere viva la comunicazione tra interno ed esterno dell’istituto, a conclusione delle lezioni, i detenuti contribuiranno alla realizzazione degli addobbi floreali per la festa patronale della città di Bari».

In partenza, infine, il corso di formazione in opere murarie, della durata di 120 ore, che prevedrà un piccolo sussidio economico per i detenuti che vi prenderanno parte. Un dettaglio nient’affatto trascurabile, considerando il contesto socio-economico in cui gravita la popolazione detenuta.

Contrastare il disagio socio-economico

«Gran parte dei detenuti – constata il direttore – vive una situazione di disagio socio-economico, su cui cerchiamo di intervenire durante e dopo la pena. Durante la pena, oltre a rafforzare l’offerta formativa, monitoriamo l’efficacia dell’assistenza sanitaria, interfacciandoci con l’ASL, e abbiamo potenziato l’assistenza previdenziale, attraverso una convenzione con un secondo patronato, che si sommerà a quello già operativo. In merito al “post pena”, al momento, sto interloquendo con la Caritas diocesana, per assicurare l’accoglienza dei detenuti che, aperte le porte del carcere, si trovano senza una dimora».

Istruzione, laboratori ed eventi

L’emancipazione dal disagio passa anche dall’istruzione e il carcere di Turi, in virtù della collaborazione con il CPIA di Altamura e con l’Ites Pertini, ha numeri di tutto rispetto: oltre la metà dei detenuti è iscritta ad un corso scolastico e 4 frequentano l’Università di Bari.

Un ruolo cruciale per il benessere dei detenuti e il loro reinserimento nel tessuto sociale lo svolgono, parimenti, le attività culturali: «I detenuti – illustra la dott.ssa Siliberti – possono usufruire della biblioteca interna, dotata di una sala lettura. Abbiamo avviato l’organizzazione di dibattiti letterari e presentazioni di libri. Al laboratorio teatrale e di bioenergetica, si affianca il corso di “sostegno all’affettività e genitorialità”, quello di yoga e l’attività sportiva rientrante nel progetto “Oltre la siepe”. Inoltre, stiamo lavorando di concerto con l’associazione “Didiario – Suggeritori di Libri” per strutturare un calendario di incontri con gli autori».

«Tutto questo – conclude il direttore – è possibile solo grazie alla dedizione e al contributo dell’intero reparto, in special modo degli agenti di Polizia Penitenziaria, i quali garantiscono la sicurezza, precondizione di qualsiasi iniziativa».

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