Cultura

Fra’ Ciavolino, il frate strangolatore detenuto nel carcere di Turi

Predicatore e affascinante amante, recluso nel 1929 con Gramsci e Pertini

di Stefano De Carolis

Fra’ Cristofaro Salvatore, al secolo Salvatore Decimo Ciavolino, nasce a San Giovanni a Teduccio (NA) il 24 agosto 1883. “Il frate strangolatore”, come verrà definito per via del suo atroce delitto, suscitò morbosamente la fantasia popolare, di mezzo mondo.

Tutti i giornali dell’epoca, ivi compresi quelli internazionali, raccontarono i fatti criminosi, le condotte, le scorribande e le numerose avventure amorose del frate gigolò.

Suo padre Antonio, dipendente comunale di Napoli di modesta condizione economica, il 15 maggio 1899, affidò il giovane Salvatore al priore di un convento di Barra (NA) per farlo studiare e dar inizio ad un periodo di noviziato.

Dopo qualche tempo, senza alcuna vocazione, fra’ Ciavolino vestì il saio francescano. Giovane dotato di fervido ingegno, compì brillantemente gli studi teologici e divenne, ancor giovanissimo, un predicatore affascinante. Dal pulpito, incatenava i fedeli, conquistando specialmente le donne di ogni età e condizione sociale. Del resto, Ciavolino, oltre ad essere un abile oratore, era dotato di bel aspetto e di un fascino irresistibile.

Le avventure amorose

Nel corso della sua vita, il frate insidiò numerose fanciulle. Scriveva il loro nome su un suo registro, dove annotava le conquiste amorose. Il frate si era ben inserito in tutta la società partenopea, frequentando sia la “Napoli bene” che i bordelli, le bische e persino loschi individui della camorra.

Dalle sue amanti si faceva chiamare con il nome di Mario e, di frequente, viveva fuori dal convento, alloggiando in una garçonniere a San Giovanni a Teduccio, in Corso Vittorio Emanuele 11, dove riceveva le sue numerose amanti.
Spesso e volentieri indossava abiti borghesi, eleganti e raffinati, e andava a trovare una sua prostituta preferita, tale Mimì D’Ambrosio, che risiedeva a Napoli, in via Chiatamone.

L’oratoria

Intanto, durante il suoi pellegrinanti trasferimenti nei conventi delle regioni di Umbria, Toscana, Lazio e Campania, celebrava messa. E tra le sue numerose e discutibili prediche, fatte dal pulpito di Santa Romana Chiesa, ‘predicava volentieri’ giocando con alcuni argomenti:

La donna: «è stata creata dal buon Dio appunto per essere la compagna affettuosa dell’uomo, son cose che potete ascoltare senza arrossire. Anche voi, fanciulle, sarete amate da qualcuno desideroso di avere una buona e brava e onesta compagna che gli abbelli l’esistenza… E voi, uomini, amate la donna come la confortatrice dei vostri dolori, la fonte pietosa che con lacrime e carezze attutisce in voi le ire del mondo…».

L’amore «è portato sino all’eroismo quando è illuminato da una vera bellezza, posseduto da molte di voi, care auditrici, scusato dalla debolezza. Oh! amore supremo mistero. Il giorno in cui l’uomo scoprirà il tuo segreto egli sarà uguale a Dio. Fedeli uditori, gentili ascoltatrici non crediate che io abbia bestemmiato. Io ho detto una grande verità.  L’amore è una delle grandezze della nostra natura, e quando questo sentimento viene espiato dalla sventura, trasformato dal sentimento, perpetuato dalla costanza sulla terra, l’amore è la giovinezza eterna».

La giovinezza «è la gioia della vita. In ogni età si ama e si pensa, ma nessun amore è così caldo, nessun pensiero è così potente come gli amori ed i pensieri della giovinezza. Questa primavera della vita ha tutto per sé: ricchezza inesauribile di creazione, varietà di forme, soavità di profumi, potenza e grazia, forza e bellezza. Oh, giovinezza, bella e armoniosa età. Cantate o giovani l’inno alla vita e voi giovinette guardate i giovani con gli occhi vostri, azzurri più di questo bel cielo umbro, dato da Dio per abbellire la più bella regione d’Italia».

La passione per il gioco delle carte

A proposito delle tante bravate del frate, racconto un simpatico aneddoto.

Fra le sue tante passioni Ciavolino aveva anche quella del gioco delle carte. Un giorno, mentre stava facendo una partita a scopa con un suo amico, un suo confratello si affrettò ad avvertirlo che era atteso in chiesa per la solita predica, in occasione della Settimana Santa. Il frate, se pure spazientito, smise di giocare, rimandando il seguito della partita a dopo la predica; infilò le sue carte nel risvolto della manica del saio, si recò in chiesa e salì sul pulpito.

L’inizio della predica andò per il meglio, come al solito. Poi, ad un tratto, mentre stava prendendosela con Pilato, fece un gesto così violento con le braccia che le carte da gioco nascoste si sparpagliarono sulle teste dei presenti, tra le facce sorprese di tutti! Ma il frate, imperterrito, da abile imbonitore quale era, senza scomporsi, continuò la sua predica imperterrito e aggiunse con prontezza di riflessi: “fedeli uditori, ecco i simboli della crocefissione: i bastoni per percuotere Gesù Cristo, i denari per venderlo, le coppe per abbeverarlo di aceto e fiele, e le spade per trafiggerlo”. E tutto risultò ancora più straordinario e affascinante!

I dissapori con padre Grossi

Ad inasprire i rapporti con il suo superiore provinciale, tale padre Nicola Grossi da Fara San Martino (CH), erano intervenute le numerose denuncie fatte sul suo conto e indirizzate al padre generale dell’ordine monastico. Altra situazione, che negli ultimi tempi rendeva irascibile fra’ Ciavolino era la sua mancata nomina a Rettore della chiesa di San Lorenzo di Napoli; un traguardo che il nostro “frate galantuomo” voleva ad ogni costo poiché, a suo dire, lo avrebbe rialzato nella stima dei suoi fedeli e avrebbe giovato alle sue scarse risorse economiche. Tuttavia, il veto posto dalle autorità ecclesiastiche era irremovibile, giacché Ciavolino era ritenuto “frate libertino e indegno ad amministrare i sacramenti”.

Da questi dissapori, Ciavolino iniziò a covare la pericolosa avversione verso padre Grossi, con il serio intento di vendicarsi. Decise così di chiedergli un colloquio in convento, ma gli fu rifiutato. A questo punto, Ciavolino, con astuto inganno, invitò padre Grossi a casa sua, dicendogli che avrebbero chiarito tranquillamente ogni cosa.

Padre Grossi accettò l’invito e si recò all’appuntamento, ignaro che di “quella scena del crimine” ne sarebbe divenuto il malcapitato protagonista.

Il feroce delitto

La mattina del 3 gennaio 1916, fra’ Ciavolino si trova nella sua piccola casa di famiglia, a San Giovanni a Teduccio. Dopo aver fatto allontanare con una scusa i suoi congiunti, con i quali convive, aspetta l’arrivo del suo Superiore.

Dopo un breve saluto, i due frati entrano in casa, salgono le scale e si accomodano in una stanzetta dove ci sono due lettini ed un piccolo tavolo. Da questo momento in poi inizia un accanito colloquio tra i confratelli, che si rinfacciano accuse su accuse, finché tutto degenera e precipita verso la fine di un tragico epilogo: l’omicidio del frate superiore padre Grossi. Una sorta di morte annunciata; una svolta definitiva nella vita di fra’ Ciavolino, che ormai non ha più remore e freni, se mai ne avesse avuti prima.

Al povero malcapitato, disteso senza vita per terra, depreda 500 lire che porta nel saio e, con fare cinico, poco dopo il terribile delitto, si reca tranquillamente al suo convento, in compagnia di un amico che lavorava in un bordello. Prima cena, come si conviene, e poi passa a trafugare tutti gli averi che padre Grossi custodiva nella sua cella. Ciavolino, insomma, si comporta come se niente fosse successo. Addirittura, dopo cena, se ne va in giro a godere dei suoi soliti divertimenti. E, il giorno dopo il fattaccio, se ne sta lì a giocare a ‘tresette’ e a ‘calabrisella’. Al momento del suo arresto, i Carabinieri gli trovano addosso 1.300 lire, denari che sono parte della refurtiva accumulata. Infatti, dalle indagini risulterà che il bottino rubacchiato qua e là corrisponde a ben 2.000 lire.

Le indagini e le perizie dimostreranno che padre Grossi fu dapprima colpito e poi strangolato alle spalle, mentre si trovava seduto al tavolino, ricurvo e intento a scrivere una lettera per il Padre Generale. Inoltre, si accertò che Ciavolino aveva preparato un falso telegramma a firma di Grossi, facendo credere che fosse partito per Roma.

Illustrazione che raffigura l’assassinio di padre Grossi

“Nato per amare la donna”

Una prova dell’oratoria di fra’ Ciavolino si ricava leggendo il resoconto di un cronista dell’epoca che seguì il processo giudiziario. Alle domande del Presidente della Corte d’Assise di Napoli, l’imputato Ciavolino afferma: «Io ero nato per amare fisiologicamente la donna, e l’amai veementemente, con l’esuberanza del mio fisico pulsante, irrequieto, ma anche con franchezza alla luce del sole. Io facevo palesemente quello che quasi tutti i miei confratelli, ipocriti, falsi, bugiardi, e corruttori, facevano nell’ombra…
Ebbene, se io sono diventato un mostro, sono stato trascinato a divenire un mostro, che fa orrore alla società umana, ma di chi è la colpa? La colpa, o signori giurati, è stata dei mostri pericolosi, subdoli, astuti, che hanno voluto ad ogni costo che io rimanessi tutt’ora a fare il frate… io era nato per amare, non per vivere in astinenza. E Iddio sa quanto, nei primi tempi in cui l’ardore della carne mi consumava e la fiamma del desiderio mi avviluppava tutto ardendomi… mentre io me ne volevo andare ad ogni costo da quei ricettacoli di perdizione e corruzione che sono i conventi. Ah! Non volevasi, non volevasi che io gettassi la tonaca alle ortiche, perchè troppo ben sapevano che io conoscevo infinite cose sul conto loro, sulla nefanda prostituzione che essi hanno fatto dell’istituto sacerdotale. A Portici mi trasferirono con un viatico infamante, perché preceduto colà da informazioni segrete che mi definivano molto più esecrabile di un brigante […]».

La confessione di fra’ Ciavolino

Durante la sua lunga deposizione, Ciavolino narra gli attimi che precedettero l’atroce delitto. Aveva appena detto al suo Superiore: “…Ah no! Ciavolino è sensuale, donnaiolo, scapigliato gaudente, ma mai menzognero…” e, in risposta, padre Grossi, alzando la voce, gli rinfacciava piuttosto diaverlo beneficiatoabbastanza.Ciavolino, a quel punto, replicando a quella durezza gli disse arrabbiato: “Nicò vattenne, altrimenti ti gitto dal balcone!”, e in risposta il Superiore gli rivolse ancora altre parole oltraggiose.
Fu in questo momento che Ciavolino perdette letteralmente la ragione, afferrò una sbarra di ferro e colpì alle spalle la testa del povero padre Grossi, credendolo morto. Immediatamente, decise di occultare il corpo sotto il letto di suo fratello,quando, in procinto di trascinarlo via, padre Grossi rinvenne e lanciò un urlo. Allora Ciavolino conclude: “Perdetti la testa e non sapendo che fare per liberarmi dal risorto accusatore del mio fallo, l’afferrai con una cordicella, la corda della persiana della finestra, e gliela attorcigliai fortissimamente attorno al collo, finché egli cesso di dibattersi”.

Questa è la confessione del reo fra’ Ciavolino. Versione che risulterà non coerente con le indagini espletate.

La condanna

Il Procuratore Generale, udito il verdetto dei giurati, chiese la pena a 24 anni di reclusione, con 4 di segregazione cellulare, interdizione perpetua ai pubblici uffici e tre anni di sorveglianza speciale di Pubblica Sicurezza.

Il Presidente del circolo ordinario delle Assise di Napoli accolse le misure e il 21 febbraio 1919 pronunziò la sentenza di condanna. Rivolgendosi direttamente al condannato affermò: «Ciavolino avete tre giorni per ricorrere per Cassazione, e intanto vi esorto ad emendarvi, che se grande è stato il vostro delitto, se grande è stato lo scandalo che ovunque avete disseminato, grande potrà essere il vostro pentimento, se ripiegandovi su voi stesso, nella solitudine del carcere avrete la forza di emendarvi. Ed io auguro alla civile società che non mai più abbiano a rinnovarsi una serie di fatti ignominiosi simili a quelli che avete impressi lungo il disastroso cammino della vostra giovinezza… Pentitevi Ciavolino, fraternamente vi esorto a pentirvi di quanto avete fatto! Carabinieri, riconducete il condannato».

La detenzione nel carcere di Turi e l’amnistia

Dopo la sentenza di condanna, Decimo Salvatore verrà recluso nelle carceri di Campobasso, Augusta, Isola di Pianosa, Portolongone, Soriano e, in ultimo, il 19 dicembre del 1929, verrà recluso presso lo “Stabilimento Penale per minorati fisici di Turi” (quest’ultimo dato stranamente è inedito), matricolato al n.7223.

Trascorsi due anni di reclusione presso il nostro Carcere, sicuramente in compagnia di Antonio Gramsci e Sandro Pertini, il 21 novembre 1932, su proposta di Benito Mussolini, sarà liberato a seguito di amnistia promossa dal Re Vittorio Emanuele III.

Dopo l’espiazione di 16 anni di pena, fra’ Ciavolino, ormai spogliato dalle vesti monacali, vestirà l’abito del professore Decimo Salvatore e si trasferirà nella cittadina di Gorga (Roma), dedicandosi all’insegnamento dell’italiano e del latino fino alla sua morte, avvenuta il 9 gennaio 1938, all’età di 55 anni.

Il ricordo di Giovanni Rossi

Del ricordo ormai lontano della figura del famigerato ‘frate Ciavolino’, ho raccolto l’interessante testimonianza dal maestro calzolaio di Turi, Giovanni Rossi, detto Nino la ceccèdde, classe 1921.

L’anziano maestro mi ha raccontato che suo padre Donato, anch’egli maestro calzolaio, ritornato dall’America negli anni ‘20, aveva aperto bottega a Turi, in via San Giovanni, e che riforniva la casa penale di Turi di materiale per la produzione e la riparazione delle calzature degli stessi detenuti.

Il signor Giovanni ricorda di un amico di famiglia, tale signor Piano, di origini leccesi, sottocapo in servizio presso il nostro carcere. Questi sovente raccontava la figura dell’ormai mitico detenuto di Turi fra’ Ciavolino, leggendo, tra l’altro, le numerose cronache nazionali ed internazionali dell’epoca, perché anche a Turi il “frate strangolatore” era molto conosciuto.

Il sottocapo rimarcava che il detenuto ‘Ciavolino’ riceveva in carcere numerose lettere “d’amore e di passione”, scritte dalle tante spasimanti, affascinate dal carisma del frate omicida.

Il giorno della sua liberazione dal nostro carcere, a Turi si sparse rapidamente la notizia e numerosi turesi si precipitarono presso la stazione ferroviaria per vedere di persona il famigerato personaggio. Il signor Rossi ricorda che era un bell’uomo affascinante, alto e ben vestito.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *