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Il Carnevale turese durante il periodo fascista

Il 17 gennaio, giorno di Sant’Antonio Abate, a Turi si aprivano i festeggiamenti del Carnevale, una delle più antiche e importanti feste organizzata dall’Arciconfraternita del Purgatorio fino al 1930. Una festa popolare tra il sacro ed il profano che ha origini molto più antiche di quelle divulgate in questi anni dalla storiografia ufficiale. Tralasciando i racconti pubblicati da don Vito Ingellis – che faceva risalire il Carnevale al 1799, mescolando storia e leggenda popolare – fino ad oggi, la prima testimonianza documentale certa, citata da Mino Miale nel suo saggio pubblicato sul Quaderno 1 “Sulle tracce”, era datata 1862. Ebbene, grazie alla lettura di un manoscritto seicentesco, è possibile far risalire il Carnevale turese, retrodatando di un secolo le notizie a nostra disposizione. A questo si aggiunge, dunque, un altro tassello nel recupero della nostra storia collettiva, che merita di essere approfondito.

Nel 1685 a Turi, durante il Carnevale, in casa si ballava e giocava

“… m’immaginai che volesse sapere circa i balli, soni, e giochi si fecero nell’ultimo giovedì di carnevale la sera di questo anno in casa di Giuseppe Franco di Terra di Turi… le persone che intervennero in detti balli, soni e giochi e in che modo vestiti…”

“Il miracolo dei Sanfedisti”

Mettendo per un momento da parte il rigore della storia, ci caliamo nella “fantasiosa vulgata” diffusasi in merito alla nascita del nostro Carnevale. Ci servirà per introdurre un’inedita testimonianza della mascherata carnascialesca che andava in scena a Turi durante il regime fascista.

Nell’ormai celebre articolo a firma Carlo Orlandi, pubblicato nel 1898 sulla rivista “Illustrazioni popolare”, si narra che l’ultimo giorno del Carnevale turese traeva origine dai tristi avvenimenti accaduti nel 1799, quando le comunità “giacobine” del Regno di Napoli (ovvero quelle che si erano smarcate dal dominio borbonico e avevano giurato fedeltà alla nascente Repubblica Napoleonica) furono oggetto di una sanguinaria repressione da parte dell’esercito controrivoluzionario dei “sanfedisti”.

La ricostruzione raccontata da Orlandi riporta che le orde del Cardinale Ruffo, dopo essersi fermate ad Altamura e a Gioia a “far macello di liberali”, sarebbero passate da Turi per accostarsi al mare. Il paese era tutto sottosopra, quando, improvvisamente e inaspettatamente, l’esercito sanfedista prese altra via. Ai turesi parve come un miracolo, tanto che si raccontò che l’armata di banditi fu persuasa a cambiare programma per via dell’apparizione in cielo delle anime del Purgatorio, schierate a difesa della città.

A questa leggenda, a quanto pare, si è ispirata la mascherata che sugellava il nostro Carnevale e che rievocava il ricordo di quella apparizione con una messinscena ludica, che, per un giorno, trasformava Turi in un grande teatro all’aperto.

“Nella vasta piazza del paesello si rizzava un seggio reale, sormontato da un baldacchino damascato con fregi simmetricamente disposti. Sull’impalcatura, e propriamente in cima, svettava l’effige delle anime del Purgatorio, quadro antichissimo conservato con cura dalla Congrega che ne porta il nome; sotto l’immagine, si ergeva un seggio regale su cui prendeva posto il presidente del sedile, non prima di aver fatto il giro del paese accompagnato dalla banda cittadina. Intanto, dalla via chiamata ‘dei pozzi’ giungeva una comitiva di briganti, che impersonavano i sanfedisti, determinata a mettere a ferro e fuoco l’intero paese. A questo punto, si ingaggiava una lotta corpo a corpo tra i sanfedisti e le guardie cittadine: una scarica di petardi da una parte e dall’altra metteva fine al combattimento, decretando la ritirata dei banditi”.

Il misterioso omicidio

Ritornando alle fonti documentali, sappiamo che nel 1931, proprio nel corso dei festeggiamenti del Carnevale, a Turi si consumò un misterioso omicidio.
In seguito al misfatto, Domenico Argnani, Vescovo della Diocesi di Conversano, ai membri dell’Arciconfraternita del Purgatorio proibì di organizzare le consuete celebrazioni carnevalesche, “dovendo essi sempre e dovunque dare esempio di dignità e serietà”.
Questo è un momento di cesura decisivo: la gestione del Carnevale passa nelle mani dei “Facchini” turesi, aprendo una stagione e una “rivoluzione delle tradizioni” che richiederebbe un capitolo a parte.

Una parata di carnevale con un Ras abissino

I “fantasiosi” natali del Carnevale e l’accenno al misfatto del 1931 hanno preparato il terreno al ‘pezzo forte’ di questo contributo: la curiosa testimonianza, da me raccolta nel 2020, del compianto Vito Di Palma, un arzillo e simpatico signore passato a miglior vita nel 2022 alla veneranda età di 101 anni.

Nell’estratto della conversazione che vi propongo di seguito, il carabiniere Di Palma espone con puntuale lucidità come si svolgeva il Carnevale turese negli anni ’30, proprio prima che accadesse il misterioso omicidio.

Vito Di Palma (1920-2022)

«Ricordo con tanta nostalgia molte di quelle giornate vissute con i miei coetanei nella mia Turi. In particolare, ricordo il periodo di Carnevale, allorquando per rispettare un’antica tradizione, nella piazza del paese si costruiva un piccolo palco di legno e su di esso veniva messo un trono su cui si sedeva una persona di Turi, travestita da alto dignitario abissino, il Ras.
Al suo fianco, anch’esse mascherate di tutto punto, a protezione si posizionavano le guardie del corpo. Il Ras aveva davanti a sé un grande piatto, che serviva per mettere i soldi ricavati dalla questua tra i concittadini. Nella scena c’erano anche altri paesani, vestiti da militari ascari armati di lance e scudi; questi, quando vedevano dei gruppi di persone, li circondavano e, sempre per scherzo e tanta goliardia, li obbligavano a salire sul palco al cospetto del Ras per versare nel piatto un tributo volontario.

Successivamente, il Ras, sempre seduto sul suo trono, veniva portato in corteo per le strade principali del paese a bordo di un carro trainato da persone. Durante questa caotica e chiassosa parata, il Ras lanciava verso il pubblico presente pezzetti di carne e salsicce di maiale cotte al sugo. Credetemi, il divertimento era assicurato, perché il più bravo e il più veloce doveva afferrare al volo il cibo e mangiarlo velocemente.

Per noi ragazzi di paese era un momento di svago e puro divertimento. Tuttavia, la morale di questa frenetica carnevalata era ben più profonda: il Ras distribuiva sì la roba da mangiare, ma questo cibo era il frutto dei soldi raccolti dal popolo; proprio come avveniva in Abissinia, vittima della iniqua politica di sfruttamento coloniale».

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